La risposta al post dell’Amico Riccardo che considera la perdita secca di migliaia di $ ma non vede il complessivo margine dell’ecosistema Xiaomi.
Xiaomi SU7: una strategia industriale che l’Occidente fatica a capire
Caro Riccardo,
Quindi Xiaomi perde “migliaia di dollari” su ogni auto venduta? Ah, le metriche contabili occidentali, che cercano di misurare un ecosistema con il metro della singola unità venduta. Come dire che un ristorante perde soldi perché regala le noccioline agli aperitivi, senza considerare che poi i clienti ordinano bottiglie di vino e tartare di wagyu

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La realtà è che Xiaomi gioca un’altra partita. Per loro l’auto non è solo un mezzo di trasporto, ma un cavallo di Troia high-tech che entra nei garage per poi sincronizzarsi con telefoni, elettrodomestici, servizi digitali e persino le quote CO2. Ogni macchina venduta porta con sé dati preziosi, entrate future da servizi e una fidelizzazione all’ecosistema che Apple se lo sogna.
Un modello di business che va oltre il semplice margine sull’auto
Il modello Xiaomi non è quello delle case automobilistiche tradizionali. È quello di un colosso dell’elettronica di consumo che ha fatto della riduzione dei costi e dell’integrazione dei servizi il suo punto di forza. In Cina si parla di “software-defined vehicle”, un concetto che Tesla ha portato in auge e che Xiaomi intende spingere ancora più in là. La SU7 non è solo un veicolo, ma una piattaforma di servizi connessi: dagli aggiornamenti over-the-air (OTA), alla monetizzazione dei dati di guida, fino ai pacchetti di servizi premium basati sull’intelligenza artificiale.
Inoltre, la strategia di Xiaomi prevede una penetrazione aggressiva del mercato con prezzi altamente competitivi, sostenuta da una solida base finanziaria. Ricordiamo che Xiaomi ha investito oltre 10 miliardi di dollari nel settore automotive senza dover ricorrere a prestiti bancari o a finanziamenti esterni: questo significa che ha il pieno controllo della strategia e non deve rispondere a investitori impazienti di vedere utili immediati

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Economia di scala e supply chain: la vera forza di Xiaomi
Un altro aspetto cruciale che molti sottovalutano è il potere della supply chain cinese. Xiaomi sfrutta il vantaggio competitivo di un ecosistema produttivo integrato, che permette di abbattere i costi di componentistica e assemblaggio. Gli stabilimenti cinesi non solo producono a costi inferiori, ma lo fanno con un livello di efficienza impensabile per le case automobilistiche tradizionali occidentali.
Inoltre, grazie alla sua esperienza nel settore dell’elettronica di consumo, Xiaomi ha una capacità di scalare la produzione molto più rapidamente rispetto ai concorrenti automobilistici tradizionali. Un esempio? Il primo lotto della SU7 ha registrato 100.000 ordini in meno di 24 ore. Questo significa che, anche se inizialmente l’azienda può vendere in perdita, l’effetto volume e la fidelizzazione dei clienti all’ecosistema Xiaomi permetteranno di recuperare rapidamente la marginalità.
Il paragone con Amazon e Tesla: chi ha davvero capito il gioco?
Se guardiamo solo il conto economico del primo trimestre e ignoriamo tutto il resto, possiamo tranquillamente concludere che Amazon sta fallendo dal 1994. Eppure oggi è una delle aziende più potenti al mondo. Tesla stessa ha venduto per anni in perdita, per poi ribaltare la situazione grazie all’effetto scala e alla monetizzazione dei software.
Xiaomi sta seguendo lo stesso percorso: sacrificare il margine iniziale per costruire una posizione dominante nel mercato, per poi monetizzare nel lungo periodo con servizi e aggiornamenti. L’Occidente fatica a capire questo approccio perché ancora ancorato a modelli di business tradizionali basati sulla vendita diretta di prodotti anziché sull’ecosistema.
Quindi, caro Riccardo, se il tuo parametro di giudizio è il margine per unità venduta oggi, allora sì, Xiaomi “sta perdendo soldi”. Ma se guardiamo alla strategia complessiva, allora il gioco è molto più grande, e i veri vincitori si vedranno tra qualche anno.
Ti saluto con un’analisi basata su criteri diversi—e un po’ di pragmatismo Made in China.
Daniele Prandelli
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