Libertà e Democrazia: Dogmi Universali o Bias Occidentali?

E se non fossimo soli su questa terra?

Quando si dice che “in Cina non c’è democrazia” o che “i cinesi non sono liberi”, si parte spesso da un presupposto occidentale, un perverso bias innato nella nostra cultura Greco-Romana e cattolica, ovvero che libertà e democrazia siano concetti universali e intrinseci a ogni società.

In realtà, la cultura cinese si è sviluppata lungo una traiettoria storica completamente diversa, in cui questi concetti non hanno mai avuto il ruolo centrale che hanno avuto in Occidente.

Le riforme economiche degli anni ’80 e ’90 hanno trasformato profondamente la società cinese, migliorando il tenore di vita e aprendo nuovi spazi di autonomia individuale, soprattutto in ambito economico. Tuttavia, il rapporto tra libertà economica e diritti politici è rimasto complesso. Il Partito Comunista ha adottato il concetto di “democrazia popolare in tutto il processo”, un modello che enfatizza la stabilità, la partecipazione indiretta e il ruolo centrale dello Stato, senza adottare i sistemi multipartitici occidentali.

Oggi, i sistemi occidentali si trovano di fronte a una crescente dissonanza tra la narrazione politica e la realtà dello sviluppo globale. La rapidità con cui la Cina ha trasformato la propria società, migliorando il tenore di vita di centinaia di milioni di persone, stride con l’idea che solo i modelli democratici occidentali possano garantire progresso e benessere. Questo scarto porta spesso a una reazione difensiva: invece di interrogarsi su come un diverso modello di governance abbia potuto produrre simili risultati, si preferisce demonizzarlo attraverso una retorica politica che enfatizza esclusivamente i suoi limiti.

In pratica, se analizziamo i dati concreti sul benessere sociale, la qualità delle infrastrutture, l’innovazione tecnologica e la capacità di pianificazione a lungo termine, emerge un quadro in cui la Cina, in molti settori, ha già superato o sta rapidamente raggiungendo l’Occidente. La crescita della classe media, l’accesso diffuso a istruzione e sanità, e la continua modernizzazione delle città sono segnali di un modello che, pur diverso, sta dimostrando una notevole efficacia.

Il rischio per l’Occidente non sta tanto nella competizione economica o geopolitica, quanto nel rifiuto di riconoscere che esistano vie alternative per garantire stabilità e sviluppo. Invece di condannare pregiudizialmente il sistema cinese, potrebbe essere più utile comprenderne i meccanismi e trarne spunti per affrontare le sfide del futuro.

Va compreso che in Cina i concetti di libertà e democrazia, per come li intendiamo noi, non sono radicati nella cultura locale. Seppur alcune terminologie possano sembrare simili, nella loro applicazione concreta il significato cambia profondamente. Certo, esistono elementi di contaminazione culturale, soprattutto nelle grandi metropoli, dove convivono cinesi rientrati dall’estero e stranieri che hanno portato con sé modelli di pensiero occidentali. In questi contesti emergono, talvolta, richieste di maggiori diritti e libertà individuali. Tuttavia, quando tali istanze vengono percepite come un rischio per la coesione sociale, vengono rapidamente contenute.

Un esempio pratico aiuta a comprendere la differenza di prospettiva: entrare in una fabbrica cinese e chiedere a un operaio se desidera più libertà o democrazia potrebbe suscitare perplessità. Non perché la persona sia “controllata” o abbia paura di rispondere, ma perché il concetto stesso di libertà politica potrebbe non avere per lui lo stesso significato che ha per noi. Molti cinesi identificano la libertà con la possibilità di migliorare il proprio benessere economico, di viaggiare, di costruire una famiglia solida e di vivere in una società stabile e sicura.

Questa differenza culturale non è né giusta né sbagliata, ma è il frutto di un percorso storico, sociale e filosofico completamente distinto da quello occidentale. Giudicare la Cina con le nostre categorie di pensiero porta spesso a fraintendimenti. Comprenderne le radici aiuta invece a interpretare la realtà in modo più equilibrato.

Cosa dice la Storia?

L’evoluzione della libertà e della democrazia in Cina

Prima del Confucianesimo (fino al V secolo a.C.)
Nel periodo precedente al Confucianesimo, le prime concezioni politiche cinesi erano radicate in sistemi come il Feudalesimo e il Legalismo, entrambi caratterizzati da un forte centralismo e una limitata libertà individuale. Durante le dinastie Shang e Zhou, la legittimazione del potere politico era affidata al “mandato del cielo”, un principio che subordinava il governo alla volontà divina e che escludeva la partecipazione popolare. In questo contesto, la libertà non era vista come un diritto politico, ma piuttosto come un principio morale, spesso legato all’armonia con la natura e al rispetto delle leggi. Seppur alcuni concetti di comunità e armonia sociale si riscontrano, questi non si allineano al modello democratico occidentale.

Dopo il Confucianesimo (dal V secolo a.C. in poi)
Con la nascita del Confucianesimo nel V secolo a.C., la Cina sviluppò un sistema di valori che avrebbe influenzato profondamente la sua politica. Sebbene il Confucianesimo sia spesso associato a un governo autoritario, alcuni dei suoi principi, come l’importanza della comunità e della responsabilità civica, si avvicinano a quelli democratici. Tuttavia, il Confucianesimo ha sempre giustificato un sistema di governo basato più sulla morale che sulla partecipazione popolare. Durante la dinastia Han, si iniziarono a intravedere forme di organizzazione che promuovevano un certo ordine sociale, ma questi non corrispondevano alla concezione di democrazia che conosciamo in Occidente.

Nel XIX secolo, a seguito dell’impatto devastante delle Guerre dell’Oppio e della crescente influenza coloniale occidentale, alcuni intellettuali cinesi iniziarono a esplorare concetti di democrazia occidentale. Le riforme introdotte dalla dinastia Qing tentarono di modernizzare la Cina, ma la trasformazione non fu mai completa e il concetto di democrazia rimase ancora estraneo alla cultura politica tradizionale.

L’era repubblicana e la fondazione del Partito Comunista (1911 – 1949)
L’inizio del XX secolo portò alla proclamazione della Repubblica di Cina nel 1911, un periodo che generò forti speranze di modernizzazione e partecipazione popolare. Tuttavia, le divisioni politiche interne e le forti resistenze al cambiamento impedirono una vera affermazione della democrazia. Con la fondazione del Partito Comunista Cinese nel 1921, emerse un nuovo modello politico, quello della “dittatura democratica del popolo”, che poneva l’accento sul collettivo piuttosto che sui diritti individuali. Sebbene questa concezione si distaccasse dal modello occidentale di democrazia, essa rifletteva una visione di partecipazione e di responsabilità collettiva che ha continuato a evolversi nei decenni successivi.

L’era moderna (dal 1949 ad oggi)
Con la vittoria del Partito Comunista nel 1949 e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, la Cina intraprese un cammino che avrebbe profondamente modellato la sua società e la sua politica. Le rivolte democratiche, come le proteste di Piazza Tiananmen nel 1989, segnarono un conflitto tra il desiderio di maggiore partecipazione politica e il mantenimento di un sistema autoritario. Tuttavia, il concetto di “democrazia con caratteristiche cinesi” si è affermato come la base del sistema politico attuale, lontano dal modello liberale occidentale ma caratterizzato da un impegno a promuovere la stabilità e lo sviluppo.

La Cina promuove un modello di “democrazia popolare in tutto il processo”, che non si ispira al liberalismo occidentale, ma cerca di integrare i principi di partecipazione collettiva nelle strutture del governo. Questo modello non è privo di influenze occidentali, ma le differenze culturali e storiche rendono difficile un adattamento diretto.

Sono forse queste differenze che piu spaventano ed aizzano l’occidente verso l’inaccettabile concetto di suprematismo che ci pervade?

Dopotutto, chiudendo, l’occidente non e’ supremo bensì si paragona al resto del mondo con questi numeri:

  • Occidente greco-romano-cattolicocirca 1,5 miliardi (18-20%)

  • Civiltà arabo-musulmanacirca 1,9-2 miliardi (23-25%)

  • Civiltà asiaticacirca 4,5-4,7 miliardi (55-57%)

Non siamo soli su questa terra.

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Sono Daniele Prandelli, in Cina dal 1994, alla guida di una società di consulenza che affianca le aziende nell’accesso e nello sviluppo del mercato cinese. La mia esperienza si concentra sull’industrializzazione e l’ottimizzazione della supply chain, con particolare attenzione ai settori del metallo, della plastica e dell’automazione, supportando le imprese nelle loro strategie di investimento e produzione.
In questo spazio condivido analisi su tendenze industriali, dinamiche di mercato e innovazione tecnologica, oltre a riflessioni su come la Cina venga percepita al di là della “Grande Muraglia Rossa”. Occasionalmente, esploro anche temi di economia e geopolitica, basandomi sulla mia esperienza diretta sul campo.
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